08 Gen Dalla pandemia la sfida per la flessibilità e per lavorare bene. Con quale strumento giuridico?
Difficile immaginare a gennaio che nel volgere di pochi mesi avremmo tutti affrontato una vera e propria rivoluzione nel modo di lavorare.
E’ chiaro che la dimensione unidirezionale dello smart working sperimentata in questi mesi nella forma del lavoro domiciliare non è vero smart working. Nell’accezione “emergenziale” se ne è compresa la finalità. Ma proprio perché “emergenziale”, in questa sua connotazione si tratta di una modalità di lavoro che va comunque organizzata in tutte le sue componenti (spazi, teconologia, persone) ma che è destinata a rimanere circoscritta alla particolare situazione dell’ultimo anno e degli ultimi mesi, così come le disposizioni speciali che sono state introdotte dai diversi decreti per tutelare le persone più vulnerabili e maggiormente a rischio.
Smart working, propriamente non è lavoro da casa, ma flessibilità di tempo e di spazio nell’esecuzione della prestazione. Il che significa lavoro in sede, fuori sede, da casa ma anche lavoro per alcuni periodi di tempo al fuori dei più grandi centri urbani. Questa flessibilità spazio-temporale stimola le energie positive, la capacità di prendersi dei momenti di pausa, di socializzazione e di riposo, stimolando produttività, riflessione e creatività.
La rivoluzione ormai è già in atto, alcune aziende lo hanno già previsto come modalità strutturale di lavoro.
Non resta che coglierne le potenzialità attingendo agli strumenti giuridici che abbiamo già a disposizione per accompagnare questo modo di lavorare.
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