Il diritto alla disconnessione nella prospettiva del consolidamento del lavoro da remoto

Il lavoro da remoto nella prospettiva del conflitto tra lavoro e famiglia

Partiamo da una premessa fondamentale: il lavoro da remoto che si è sperimentato nel corso della pandemia non è vero smart working.

Tutti noi, chi più chi meno, abbiamo lavorato in questi mesi in remoto e, va detto, forzatamente da casa. La impossibilità di separare in alcuni casi gli spazi personali (fisici e mentali) da quelli lavorativi ha favorito il sorgere di momenti di inquietudine e a volte anche di frustrazione, perché il tempo si è trasformato in una specie di continuum tra impegni familiari e lavorativi, riunioni on line, scadenze, telefonate, social, intrattenimento on line e off line. Si è così posto all’attenzione di tutti con forza rinnovata dalla pandemia il tema della “disconnessione”, considerando soprattutto il ruolo delle donne all’interno della famiglia e l’esigenza, sia durante i mesi di lockdown generale sia durante i successivi periodi di chiusura settoriale e localizzata, di costruire migliori confini tra la vita e il lavoro (all’interno delle mura domestiche).

Ebbene, stando all’esperienza di questi mesi e alla necessità di non svilire la portata delle pur positive ricadute del lavoro da remoto sul benessere psico-fisico dell’individuo, sarebbe troppo riduttivo considerare il diritto alla disconnessione solo nei termini di una “pausa” dagli impegni di lavoro oppure dalla connessione (on line e off line).

 

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